A un anno di distanza dalla scomparsa di Antonio Sibilia, ex dirigente e massimo esponente dell’U.S. Avellino, il presidente Walter Taccone e tutta la società biancoverde ricordano con immutato affetto e nostalgia il Commendatore, storica figura del calcio irpino. “Don Antonio sempre nei nostri cuori”.
Questo il messaggio della Società del Avellino. Un anno fa moriva, infatti, nel suo paese natìo, Mercogliano, all’età di 93 anni, Antonio Sibilia, storico patron dell’Avellino di cui è stato dirigente per circa mezzo secolo. Gran scopritore di talenti, a lui devono le loro fortune calciatori del calibro di De Napoli, che arrivò a giocare i Mondiali in Messico, Vignola, Tacconi e Favero, e soprattutto Juary, il brasiliano che festeggiava i gol ballando il samba attorno alla bandierina del calcio d’angolo. Negli anni in cui l’Avellino militava in Serie A, diventò famoso in tutta Italia per gli innumerevoli strafalcioni linguistici e per il modo in cui gestiva non solo le finanze della società, ma anche i suoi calciatori, talvolta persino aggrediti fisicamente. Storico il “no” all’argentino Leonardo Ricatti: “Prima vai dal barbiere, poi discutiamo di provini e ingaggi. All’Avellino i capelloni non hanno mai trovato ubicazione”. Ma era diventato celebre anche per alcune uscite tipo “Il nostro portiere vuole i guanti? No, o li compriamo a tutti o a nessuno…”
Celebre la sua amicizia con Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra organizzata. Nell’ottobre del 1980 si reca accompagnato da Juary a una delle tante udienze del processo che vede imputato Cutolo e durante una pausa saluta il boss con tre baci sulla guancia consegnandogli. L’intera vicenda suscita l’interesse giornalistico di Luigi Necco, che il 29 novembre 1981, mezz’ora prima della partita Avellino-Cesena, viene gambizzato in un ristorante di Avellino per mano di tre uomini inviati da Enzo Casillo, detto ‘O Nirone, luogotenente di Cutolo fuori dal carcere. La storia non può più passare inosservata ed Antonio Sibilia finisce nel mirino della magistratura. Scattano, per lui, la detenzione ed un lungo processo per associazione per delinquere di stampo mafioso iniziato il 17 maggio 1984, con l’accusa di essere stato il mandante dell’agguato contro il procuratore della Repubblica di Avellino Antonio Gagliardi, avvenuto il 13 settembre 1982; il processo si concluderà con la totale assoluzione dell’imprenditore irpino. Nel tempo è stato ricordato anche per il rapporto particolare con gli allenatori, in particolare nell’episodio storico della lite con Giuseppe Papadopulo. Un Presidente “particolare”, con il quale tanti tifosi biancoverdi hanno vissuto gli anni calcistici più belli della storia dell’Avellino calcio.