Mi è capita sotto mano, e devo dire grazie alla petizione accorata di un amico-collega genitore, l’ultimo studio sui risultati dell’alternanza studio-lavoro in Campania, mia regione d’adozione. A fronte di ciò, ho provveduto a leggere accuratamente il materiale, ho provveduto a chiedere ad alcuni amici le sensazioni, constatare la bontà delle dichiarazioni degli interessati e ascoltato quelle velleitarie dichiarazioni fatte, con solenne enfasi, dai soliti politici “politicanti”.
Beh, che dire, ad analizzare i dati, e soprattutto ad ascoltare le parti in causa, da un lato ho verificato una aspettativa errata dei giovani intervistati, che si sono immaginati, evidentemente, una passeggiata estiva a perder tempo, una sorta di “vacanza” per divertirsi a far nulla, oppure un mezzo facile per intrufolarsi nel mondo immaginario dei soldi facili; dall’altro, gli imprenditori, dotati di un fiuto “volpino”, hanno saputo sfruttare una non indifferente occasione di lavoro in nero, benedetta nientemeno che dal Governo, una sorta di legittimazione “alla luce del sole”. Nelle interviste, ho verificato una distonia ideale e programmatica di uno strumento, l’alternanza scuola-lavoro, le cui origini “pendevano” da ben altra, e corretta, parte. Seppure con i dovuti distinguo, nessuno, si è lamentato del fatto che l’aver caricato sulle spalle delle famiglie i costi della fase di alternanza studio-lavoro.
Resta il fatto, non meno oscuro, che lo “studiare”, così inteso come attività dell’apprendere una professionalità, sta diventando una strana di fatica di Sisifo, destinata a portare i giovani a far rotolare una gigantesca roccia, fatta di cognizioni, verso una cima di montagna senza che vi sia una possibilità di fermare il rotolamento dall’altro versante; così come sembra essere, la scolarizzazione, una attività di sosta, a pagamento per le famiglie, della nuova forza lavoro, che resta ferma a livelli parossistici di nozionismo, senza poter attingere a fonti di conoscenza dinamica e a strumenti di aggiornamento, per poi scivolare a “valanga” nell’imbuto dell’università, dove le esigenze dell’imparare una professionalità li costringe a galleggiare di anno in anno fino all’agognata “Laurea”, che oggi sembra essere equiparabile al diploma di parecchi decenni fa.
Non voglio sminuire il valore della laurea, tantomeno generalizzare, semplicemente constatare che nella bramosia fumosa di voler elevare la qualità dell’intelletto italico, si finisce con l’insalsicciare le menti in una omologazione e massificazione degli sbocchi; una logica che crea dei moderni “lager”, fatti di flotte di studenti che escono da studi che non hanno opportunità di assunzione, oppure esondano in materie che hanno ben altre esigenze e professionalità. Il problema della modernizzazione degli studi, quella, per intenderci, tutta “esteriore” della cosiddetta sfida della globalizzazione, sta devastando le menti e contorcendo bisogni e desideri. Inoltre, la realtà è ben diversa, tragicamente più devastante.
Siamo senza calzolai, le aziende sono costrette a chiudere non solo per tasse stellari e commesse insostenibili, quanto per la mancanza di manodopera specializzata. In questa eterogenea rimembranza risiede l’errore genetico della politica dell’istruzione contemporanea; oggi non servono due milioni di laureati se non ci sono almeno il doppio, se non il triplo, di diplomati e, altrettante volte, di operai. La nostra istruzione sta creando un esercito di generali, dimenticandosi delle truppe, che sono fondamentali per un corretto e funzionale sviluppo della società. Aver distrutto la formazione professionale, depauperato il valore etico del Liceo, atomizzato le caratteristiche delle scuole di arti e mestieri, sta depauperando un sapere antico, minando le tradizioni, devastando le possibilità di rendere “sostenibile” la nostra società.
Vorrei, inoltre, poter stendere un velo “impietoso” sulle materie di studio, perifrasi per indicare le cose da imparare, di questi programmi ministeriali che sono talmente lontane dalla realtà tanto da, ormai, far studiare lo stesso argomento in tre diversi livelli di istruzione, elementari, medie inferiori e superiori, cambiandone solo la lunghezza del trattato, in buona sostanza.
Ciò che deve avvicinare i giovani al mondo del lavoro e alle professioni è la capacità di avere un insieme coerente di nozioni, o meglio di strumenti, tali da renderli flessibili rispetto alle evenienze che l’attività lavorativa pone in essere; non oso devastare il valore di poesie, eventi storici, nozioni scientifiche, quantomeno che alcune di esse non siano propinate come ostacoli in una corsa olimpionica; non si può, o meglio non si deve, proporre talune nozioni come barriera ideologica al futuro. Che si abbia una difficoltà innata nell’imparare a memoria (alzo la mano per primo), non deve portare gli insegnanti a definire “inadeguato” uno studente, magari se ne valuti le capacità complessive e si scoprirà che non riesce a memorizzare “A Silvia” di Leopardi, ma è capace di formulare pensieri complessi e sintatticamente ineccepibili, a tutto merito della capacità di essere empatico.
La politica, le Istituzioni, i Governi debbono capire e mettere in pratica un assunto fondamentale, ovvero che l’Istruzione, quella con la maiuscola, è un “diritto-dovere” dei giovani, a cui i primi debbono dedicare il loro massimo impegno, visto che deriva dalla Costituzione della Repubblica Italiana; purtroppo, se si fa in modo che questo dovere diventi una sorte di “diritto-civile”, che comporta una propensione d’animo tale da portare a fare ciò solo perché lo dice la legge, quindi con una larga base di sciatteria nell’agire, di sicuro faremo, plurale necessario, del male ai nostri figli e, per traslato, solo a noi tutti. Un paese che non ha una struttura funzionale, in cui ognuno ricopre una posizione che sia di stimolo e sviluppo per la società, è un paese destinato alla stagnazione totale, alla omologazione verso il basso, magari pieno di laureati ma senza nessuno che sappia cambiare la lampadina o riparare il rubinetto.
Ho affrontato questo argomento pensando a tutti i miei maestri di vita, quelli scolastici e non, che hanno sempre infuso in me, e mi dichiaro fortunato, il desiderio di apprendere, conoscere, scegliere e decidere, prima ancora che imparare.
a cura del Dott. Antonio Ansalone