Augusto Minzolini, giornalista e poi politico. Augusto Minzolini, assolto e poi condannato. Augusto Minzolini salvato dal Senato ma poi, forse, dimissionario. Quando leggo, ascolto e vedo la più becera forma di giustizialismo avanzare imperterrita, rifletto, sinceramente, sul futuro di questo nostro Paese. La vicenda Minzolini, Senatore della Repubblica dal 2013, lascia seguito ad una serie di riflessioni personali ma oggettive.
È bene, prima di tutto, inquadrare storicamente la questione oggetto delle mie riflessioni. Nel 2009 il giornalista Minzolini arriva in Rai come direttore del TG1. Incarico, quest’ultimo, sembra ombra di dubbio alcuno, molto prestigioso.
In quella sede, lo stesso Minzolini, chiede all’allora direttore generale della Rai Paolo Galimberti, di continuare la sua collaborazione con Panorama. Una sorta di valvola di sfogo, fuori dagli schemi televisivi. Galimberti si oppone, categoricamente.
Fu allora che Minzolini, chiese di poter usufruire dello stesso trattamento concessogli dal quotidiano La Stampa, giornale con il quale aveva collaborato precedentemente. Il benefit, se così vogliamo definirlo, consiste in una carta di credito da inviato speciale, niente di anomalo o particolare. Un budget da inviato, non da direttore.
Il tutto condito dalla clausola, professionalmente rilevante, di non dover indicare gli ospiti incontrati per pranzi e cene. Una sorta di riservatezza delle fonti: il giornalismo è anche, e soprattutto, questo. La notizia va ricercata, approfondita, con i contatti personali e non. Contatti che molto spesso sono riservati.
A metà del 2010, dopo aver accettato le condizioni dell’allora direttore del TG1, contesta il budget della carta di credito a Minzolini: gli viene chiesto, addirittura, di restituire quanto speso. Senza battere ciglio, Minzolini procede. Finché nel 2011, un esposto dell’allora deputato Antonio Di Pietro, attiva la Procura di Roma. Processo per peculato.
Prima grado terminato con piena assoluzione. In appello, con le stesse identiche prove, o forse si potrebbe dire non prove, Minzolini è condannato. Due anni e sei mesi, nonché inibizione dai pubblici uffici. Un caso specifico, anomalo e particolare: uno di quelli che fa riflettere. Uno dei giudici dell’Appello era un certo Sinisi, che ha avuto una lunga carriera politica nel centrosinistra, lo schieramento politico avverso a quello di Minzolini.
Ovviamente ciò nulla c’entra, con la condanna di due anni e sei mesi, quanto è necessario per incorrere nella Severino. I processi, spesso, sono pieni di coincidenze. Il relatore di Cassazione è stato un certo Stefano Magini, che tanto avrebbe lavorato in America proprio con Sinisi, il giudice dell’Appello. Una serie di coincidenze se vogliamo. Minzolini è stato giudicato sia in Appello che in Cassazione, da persone che avevano già fatto politica in schieramenti avversi al suo, ma noi, assolutamente in buona fede, pensiamo che le due cose non si incrocino nemmeno lontanamente. Senza dubbio il ruolo è spogliato, o tale dovrebbe essere, da pregiudiziali politiche.
È senza pregiudizi, ancora una volta, che Minzolini ha dimostrato di essere un uomo. Oltre le istituzioni, oltre il ruolo politico e pubblico. Minzolini ha incassato il no del Senato all’applicazione della Legge Severino per il suo caso. Ma Minzolini, l’uomo prima che il politico o giornalista, si dimetterà.
Certo, come abbiano accennato altre volte in casi specifici, le procedure potrebbero richiedere tanto tempo, rischiando di sforare la soglia del 2018, quando, volente o nolente, il nostro Paese dovrà recarsi alle urne per scegliere un nuovo Parlamento. Forse di Minzolini non se ne parlerà più, ma l’onda del giustizialismo che in questi giorni hanno riempito pagine di social network, avanzerà inesorabilmente sotto braccio con il solito, ma onnipresente, populismo.