Sono molti a ritenere che una diversa organizzazione territoriale della medicina di base avrebbe potuto contenere, anche se non impedire, lo sviluppo del COVID-19 nella nostra regione e nel nostro paese. La sanità territoriale in Campania non aveva ancora conosciuto una propria efficace organizzazione idonea ad offrire qualcosa di più rispetto alle prestazioni sanitarie a tutt’oggi erogate, restando fuori anche dal servizio di guardia medica. Nulla è ancora mutato sino ad oggi.
Il 30 gennaio 2020 il quotidianosanità.it così titolava l’articolo di fondo: “Sanità territoriale. In Campania parte la rivoluzione”. L’autore di quel servizio giornalistico, esperto di problemi di settore, presentava contemporaneamente tutte le novità per la medicina di famiglia, come da accordo integrativo regionale: l’avvio delle Aft ( le aggregazioni funzionali della medicina territoriale già da tempo annunciate, nel lontano 2016 e praticamente non attuate) e ricordava le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) e l’auspicato poliambulatorio unico comprensoriale che avrebbe dovuto mettere in rete sul territorio i medici di base condividendo le cartelle cliniche dei pazienti, offrendo così per 12 ore al giorno la possibilità di rispondere alle loro richieste, in modo da offrire loro un interlocutore di riferimento prima di arrivare alla struttura sanitaria ospedaliera; ciò con il chiaro intento di ridurre gli accessi impropri al Pronto Soccorso.
Il presidente del Consiglio dell’Ordine dei Medici di Avellino, il dr. Francesco Sellitto, da parte sua, dichiarava che l’adesione alla rete territoriale degli studi si sarebbe avviata nel mese di marzo; ogni medico avrebbe mantenuto il suo laboratorio e il cittadino, che non avesse incrociato gli orari di studio, avrebbe potuto rivolgersi ad altro medico. Ciò sarebbe avvenuto in virtù della condivisione in rete della cartella clinica, accessibile anche per i medici di guardia medica; con l’aiuto di software si sarebbe potuto accedere all’anamnesi del paziente e conoscere il quadro clinico.
Purtroppo a tutt’oggi il nuovo modello di sanità territoriale non si è avviato; tutto fa pensare che in Irpinia non si riuscirà nemmeno a realizzare esperienze di ospedali di comunità, cioè strutture intermedie tra l’assistenza domiciliare e l’ospedale, ciò che sarebbe possibile in presenza di strutture ospedaliere come quelle di Bisaccia e S. Angelo dei Lombardi.
La rivoluzione della sanità territoriale in Campania non può più segnare il passo; ogni ulteriore indugio potrebbe costare molto alle nostre comunità; l’emergenza Covid-19 dovrebbe far superare ogni iniziale incertezza. L’Avvio delle AFT, la necessità di implementare il personale negli studi medici e di introdurre la diagnostica di primo livello negli studi medici di famiglia, la necessità di Unità speciali di continuità assistenziale (USCA), create in alcuni casi dal governo come una rete di emergenza temporanea, impongono alle regioni di utilizzare tutti i servizi a suo tempo istituiti, anche quelli sociali, per realizzare squadre di operatori che possano controllare piccole porzioni di territori non inferiori ai 30 mila abitanti, affiancando medico, infermiere e assistente sociale. Queste decisioni sono da prendere al più presto; esse potrebbero rivelarsi molto utili non tanto per un eventuale ritorno del Covid-19, che noi speriamo vivamente che non accada, ma per quello che succederà in autunno quando potrebbero cominciare le febbri influenzali, per le quali sicuramente si penserà a campagne di vaccinazioni influenzali.