Se ne fanno di esami all’università su quest’argomento. Letteratura e giornalismo, Storia del giornalismo, Letteratura e Pubblicità, Scrittura giornalistica e chi più ne ha più ne metta. Diciamo che delle differenze ci sono, sicuramente. A partire dalla regola delle cinque W fino ad arrivare alla solita solfa della scrittura “impersonale”, dove per impersonale s’intende priva di opinioni proprie. Inutile che mi inoltri, immagino. Le cinque W stanno per What (cosa), Who (chi), When (quando), Where (dove) e Why (perché).
Il manuale del buon giornalista dice che non bisogna mai personalizzare la notizia, ma semplicemente riportarla accendendo un cero alla sacra divinità del Dio della Cronaca, ogni domenica. Certo, aggiungo io, dipende anche da cosa si scrive. Una cosa è parlare di un delitto, un’altra è occuparsi di cultura o di politica. Per quanto certamente sia possibile esprimersi sulla gravità etica e morale di un omicidio, resta comunque un fatto da descrivere. Poco spazio, quindi, alla filosofia e campo libero alla pragmaticità.
Cambia tutto, appunto, se invece si scrive di un romanzo o di qualcosa di curioso o della differenza tra la scrittura giornalistica e quella narrativa. È vero, tiro un po’ d’acqua al mio mulino, ma è così. Tutto un altro discorso quindi per quanto riguarda la letteratura. Non ci sono molte regole, data per implicita la grammatica che per fortuna va rispettata altrimenti sarebbe una giungla. Nel senso che ogni tipo di letteratura è “sperimentale”, fosse anche il verismo o non so, quanto di meno azzardato ci sia nella storia della letteratura mondiale, perché ogni volta che nasce qualcosa di nuovo in realtà non s’è fatto altro che rompere gli schemi, infrangere le regole codificate dalla corrente precedente per darne vita a una nuova. Funziona così. Per cui, che dire? Il bello della scrittura narrativa è proprio questo: le regole ci sono, ma possono anche essere totalmente ribaltate. Pensate quale sarebbe stata la sua reazione se Manzoni nell’Ottocento avesse letto un libro di Italo Calvino. Si sarebbe messo le mani nei capelli! Avrebbe gridato allo scandalo. Fosse stato un editore non avrebbe puntato neanche un soldo su di lui. Eppure, per i suoi tempi, Calvino è stato un genio capace di rivoluzionare completamente ogni riferimento letterario, giocando con la struttura, sperimentando con il linguaggio. Insomma, mi sembra chiaro come discorso e un modo ideale per concluderlo, secondo me, potrebbe essere quello di spendere anche solo due parole su Pasolini.
Il confine tra letteratura e giornalismo nell’autore friulano è sempre stato molto labile, talvolta praticamente un sinonimo. La chiave sta negli argomenti trattati: per ogni suo “scritto corsaro” si configura, all’unisono, sia un pezzo di giornalismo sia uno di prosa. Prosa giornalistica? Potremmo parlarne. Leggessi quest’espressione da qualche parte, in relazione a Pasolini, non ci troverei niente di sbagliato. E poi, non dimentichiamoci che nel passato i romanzi venivano pubblicati sui quotidiani, i cosiddetti “romanzi d’appendice”, no? Per cui, possiamo anche discuterne: le differenze tra questi due mondi sono tante, ma hanno anche altrettanti punti di contatto. #Francesco Teselli