La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome nel dicembre 2018 ha “espresso l’Intesa” sullo schema di decreto interministeriale sul nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria. La sua concreta applicazione sostituirà l’attuale “ Griglia Lea”.
In un recente articolo su questa testata abbiamo sostenuto che non tutte le Regioni italiane sono in grado garantire i migliori standard quantitativi raggiunti e via via raggiungibili, tant’è che le 16 regioni italiane a statuto ordinario occupano un posto diverso nella relativa graduatoria. In, particolare, nell’occasione, aggiungemmo che la sanità della Campania è tra le peggiori d’Italia. Ora, con il nuovo sistema di monitoraggio, (con riguardo alle aree di prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera), che dovrebbe entrare a regime nel 2020, le attuali graduatorie cambieranno.
Il quotidianosanità.it in anteprima ha anticipato che dalla analisi delle carte “sugli esiti della prima sperimentazione effettuata dal Ministero della Salute del nuovo modello di verifica dell’erogazione dei Lea, il quadro che emerge è obiettivamente preoccupante”. Il 60% delle Regioni non garantirebbe i livelli essenziali di assistenza, (ben 12 regioni su 21) per carenza soprattutto dell’assistenza territoriale e la prevenzione, un po’ meglio invece per l’attività ospedaliera, sul cui tasso di ospedalizzazione molto ancora inciderà la carenza dell’assistenza della medicina generale e della medicina di continuità.
Solo 9 Regioni superano la sufficienza in tutte e tre le aree. Orbene da queste prime valutazioni si evincerà una realtà della sanità italiana ancora più drammatica di quella che appariva dall’esame della vigente Griglia Lea, che non teneva in conto le Regioni a statuto speciale, e secondo la quale risultavano inadempienti solo due Regioni. In questa nuova valutazione la Campania potrebbe non riuscire a conquistare la sufficienza in nessuna delle tre aree e ritornerebbe addirittura all’ultimo posto nella graduatoria delle Regioni.
Peserà moltissimo il fatto che non è previsto alcun nuovo finanziamento alla sanità per il 2019, per il Ssn, infatti, sono stanziati 114, 439 miliardi per il 2019 ( quanto speso per il 2017). Tale somma viene incrementata di 2 miliardi nel 2020 e di 1,5 miliardi nel 2021. Questi ultimi incrementi sono però vincolati alla firma del nuovo Patto per la salute tra Governo e Regioni entro il 31 marzo 2019. Con simili risorse non sarà possibile, comunque, far fronte alle carenze dell’assistenza ospedaliera, dell’assistenza territoriale, distrettuale e di prevenzione.
E il nuovo modello di verifica dell’erogazione dei Lea ( che dovrebbe entrare a regime nel 2020) finirà per rivelare una situazione oggettivamente preoccupante perché molte regioni non riusciranno a raggiungere neanche la sufficienza rispetto agli standard qualitativi, strutturali, tecnologici da garantire a tutti i cittadini. In molte regioni il tetto di spesa del personale sanitario è ancora fermo a valori di molti anni fa, il 78% degli infermieri lavora negli ospedali e l’offerta di infermieri sul territorio nazionale è molto diversificata da Regione a Regione; talché si passa da 1 infermiere ogni 8 pazienti del Friuli Venezia Giulia, 1 infermiere ogni 9 pazienti del Veneto sino a valori come quelli della Campania di 1 infermiere ogni 17 pazienti.
Sulla base di quanto sopra emerso, gli assessori delle Regioni riuniti in sede tecnica a Roma, in attesa che il ministro della salute trametta la sua Proposta di Patto, per l’attuazione della legge di Bilancio, hanno chiesto dieci miliardi subito, nel triennio 2019-2021, senza condizioni.
Il Patto. infatti,( questa è la richiesta delle Regioni) , deve prevedere un quadro di risorse finanziarie certe e disponibili, non modificabili unilateralmente e non condizionabili dagli andamenti finanziari complessivi, per il prossimo triennio. Il patto deve rimettere al centro della azione la formazione, la qualificazione e valorizzazione del capitale umano, prevedendo tra l’altro la semplificazione dell’accesso dei professionisti e degli operatori alla formazione e al SSN, per una efficace e tempestiva copertura dei fabbisogni.
La carenza di personale, si sostiene, non produce risparmi, ma un aumento dei costi sanitari, legato al rischio clinico per i pazienti e ai risarcimenti dei danni conseguenti. In caso di carenza di personale insorgono varie problematiche per operatori e strutture sanitarie ed anche per i pazienti; un aumento del carico di lavoro per medici ed infermieri comporta anche più rischi per il paziente. Alla luce del dibattito politico in corso e delle controversie all’interno della maggioranza di governo, non è azzardato affermare che per il settore della sanità il tutto è rinviato al 2020.
Intanto i nodi e le questioni emerse sino ad ora rimangono irrisolti. In ben dodici Regioni, quelle che non garantiscono i Lea (secondo il nuovo sistema di valutazione), nel 2019 non si riuscirà, anche per mancanza di nuovi fondi, a garantire alcuni dei principi fondamentali del SSN: come l’universalità e l’equità. Noi crediamo che in Campania ad esempio la collaborazione tra i livelli di governo del SSN (Stato, Regioni, Aziende e Comuni) nei rispettivi ambiti di competenza debbano riuscire ad assicurare garanzie di salute e livelli di prestazioni uniformi a quelle di altre regioni d’Italia.
Noi fermamente crediamo, altresì, che nella nostra regione sia un dovere integrare l’assistenza sanitaria e quella sociale, quando il cittadino richiede prestazioni sanitarie e, insieme, protezione sociale, per garantire, anche per lunghi periodi continuità tra cura e riabilitazione.
A cura di Antonio Battista