Le elezioni regionali ed il nodo delle alleanze in Campania

La questione campana, ormai salita alla ribalta della cronaca nazionale, a causa dell’elezione nelle primarie dell’ex-Sindaco di Salerno, per il quale – a tutt’oggi – si applicano i rigori della Legge Severino, si arricchisce di un ulteriore elemento dirimente, utile per tentare di comprenderne il possibile sviluppo: il nodo delle alleanze. 

Infatti, in Campania, la vera incertezza è rappresentata da un quadro di possibili accordi, tuttora, incerto e fluttuante: ipotizzando che la norma vigente non venga modificata prima del mese di maggio, come richiesto invece dallo stesso De Luca, è inevitabile fare un passo in avanti nella discussione, per individuare gli alleati possibili del PD nella difficile corsa verso Palazzo Santa Lucia.

Innanzitutto, il PD dovrebbe ritrovare la sua unità interna, visto che l’esito delle primarie, per quanto non sia stato contestato formalmente dai candidati sconfitti, ha lasciato molti più strascichi polemici rispetto alle problematiche, che pure intendeva risolvere.
Il dato delle primarie va analizzato in modo attento: la partecipazione è stata di profilo medio-basso, tranne che nella città e nella provincia di Salerno, che si sono identificate, unanimemente, nella candidatura dell’ex-Sindaco, per cui, in massa, i cittadini salernitani sono andati al seggio.

Se si escludono, però, gli abitanti della vasta, ma poco popolosa provincia deluchiana, a Napoli e negli altri tre capoluoghi – Caserta, Benevento ed Avellino – il numero dei partecipanti non supera complessivamente le centomila unità, un valore numerico davvero irrilevante per chi si attendeva che, al voto, andassero – almeno – trecentomila persone.
È ovvio che la forza di un candidato si evidenzia, oltreché dal dato personale, da quello complessivo della partecipazione e della mobilitazione ai gazebo, per cui i numeri, che abbiamo ricordato, molto al di sotto delle aspettative, fanno ipotizzare che nessuno dei due candidati più forti è stato avvertito dagli elettori come una realistica alternativa a Caldoro.

A maggior ragione, dunque, contano le alleanze: si sa bene che, in Campania, esiste un polo centrista, composto da UDC e NCD, che potenzialmente può arrivare a valere fino al 10% dei consensi, per cui diventa essenziale stringere un patto con chi, sui territori, è il rappresentante dei partiti di Casini ed Alfano.
Queste due formazioni vengono da cinque anni di condivisione di responsabilità con Caldoro, per cui è difficile immaginare che esse abbandonino, nel momento della competizione elettorale, l’Amministrazione uscente per allearsi con chi, peraltro, non è – ad oggi – neanche sicuro – per i vincoli stringenti della normativa vigente – di poter assumere la guida dell’Ente, che si candida a governare.

Nelle varie province, i due partiti centristi sono divisi al loro interno: ad esempio, a Salerno, esiste una parte dell’UDC, che è alleata del PD nel governo della Provincia, mentre un’altra componente è rigorosamente collocata nel Centro-Destra, per cui si può, anche, prevedere che, in vista delle Regionali, ci sia una scelta non univoca, che invero non avvantaggerebbe De Luca, che – in quanto sfidante di una Giunta uscente – avrebbe bisogno di un sostegno di massa da parte di chi, cinque anni fa, ha contribuito in modo decisivo ad eleggere Caldoro.

Inoltre, c’è il nodo politico più importante: cosa farà la Sinistra?
Alle scorse elezioni del 2010, il PD e Sel erano ancora alleati sul piano nazionale, per cui l’accordo, automaticamente, si trasferiva alle competizioni locali; ora, invece, il dato romano è cambiato profondamente, visto che, dopo la nascita del Governo Letta ed, a maggior ragione, dopo quella del Dicastero Renzi, il partito vendoliano è all’opposizione rispetto all’Esecutivo a guida democratica, per cui, se il quadro delle alleanze si trasferirà tout court da Roma a Napoli, la Sinistra dovrebbe correre separatamente e, quindi, far venire meno a De Luca un ipotetico e prezioso 3% di voti, altrimenti essenziale per vincere.

Ma, in Campania, sul comportamento elettorale della Sinistra, molto conterà la decisione, che andrà ad assumere il Sindaco di Napoli, De Magistris, il quale, detentore invero di un bel pacchetto di voti nella città più grande ed importante, può condizionare pesantemente l’esito delle elezioni, se decide di allearsi con De Luca, visto che entrambi hanno un comune nemico: la Legge Severino.

Ma, riteniamo che, anche per ambizioni personali, oltreché per una consolidata e legittima pratica di condivisione dell’azione amministrativa fra il Comune di Napoli e la Regione, De Magistris, che costituisce tantissima parte della Sinistra partenopea, opterà per defilarsi dallo scontro fra Caldoro ed il suo omologo salernitano, facendo una battaglia identitaria, allo scopo di misurare, sulla città capoluogo, il suo livello attuale di gradimento, dato che, ormai, si avvicinano le elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale.

In una situazione così fluida ed incerta, al momento, l’unica alleanza già contratta da De Luca sarebbe quella con i fuoriusciti di Forza Italia, cioè con quella parte di notabili campani, che si identificavano nelle posizioni di Cosentino, prima che questi cadesse in disgrazia, per effetto delle indagini penali in cui è rimasto coinvolto. Naturalmente, una simile alleanza non può non fare arricciare il naso a quanti, nel PD ed a Sinistra, hanno combattuto per anni contro la Destra ed il sistema di potere dell’ex-coordinatore regionale del partito berlusconiano, per cui siffatto accordo, come qualsiasi altro, va valutato non solo per i voti, che può portare, ma soprattutto per quelli che può far venir meno, dal momento che le operazioni politiche, particolarmente audaci e contro-natura, ineluttabilmente possono determinare un riscontro positivo per un verso ed uno negativo per altro.
Pertanto, in quel caso, conta il saldo, che è, difficilmente, quantificabile a bocce ferme.

Come si arguisce, la situazione campana è ben lontana dall’essere chiarita, visto che le primarie hanno contribuito ad addensare nubi, che non sono state affatto diradate da un esito, non discutibile sul piano dei numeri, ma ampiamente opinabile su quello squisitamente politico, considerato l’imbarazzo conseguito per Renzi, il quale non potrà non sporcarsi le mani con il caso campano, a meno che non decida – vista la complessità dei fattori in gioco – di stare sistematicamente ben lontano da Napoli, evitando finanche di farsi vedere in pubblico con De Luca, quando inizierà la campagna elettorale, fra un mese circa.
Un dato di riferimento, però, c’è e va preso in considerazione: cinque anni fa, Caldoro vinse con il 54% dei consensi a fronte del 43% di De Luca, mentre l’1% dei voti andò, rispettivamente, a Rifondazione Comunista ed ai Grillini.

Ipotizzando che, questa volta, Rifondazione confluirà nella lista di Sinistra di De Magistris e di Vendola e che i Grillini, comunque, andranno ben oltre il dato del 2010, è evidente che un’erosione di consensi, ai danni dei due principali candidati, non potrà non esserci: chi danneggerà maggiormente? Caldoro o De Luca?
A noi appare più probabile ed ingente un danno per l’ex-Sindaco di Salerno, ma certo ogni analisi più attenta non può che essere differita, in attesa degli sviluppi di una vicenda, che sta acquisendo contorni kafkiani, tipici – purtroppo – della Campania, in particolare da quando la ventennale e brillante leadership bassoliniana è stata distrutta e ad essa non si è sostituita quella – univocamente riconosciuta – ad opera di un altro esponente del PD o, comunque, del Centro-Sinistra napoletano.

 

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