Famiglia kennedy – Nei prossimi giorni, si celebrerà il cinquantunesimo anniversario della morte di J. F. Kennedy, il Presidente degli Stati Uniti d’America del XX secolo di cui tutti, cittadini europei ed americani, conservano il ricordo migliore.
Molto probabilmente, una siffatta memoria venne consolidata dalla morte tragica, a cui andò incontro, ucciso in quel truce attentato a Dallas del novembre 1963, i cui contorni giudiziari sono tuttora oscuri, visto che – come hanno dimostrato diverse inchieste – chi agì, quella mattina, venne supportato dalla complicità dei Servizi Segreti deviati, che avevano interesse ad eliminare il Capo di Stato che, nel corso dei dodici mesi precedenti, si era distinto per aver perseguito in modo tenace il grande crimine organizzato, che, negli anni Sessanta, negli States era particolarmente attivo e cruento.
Peraltro, il mito di Kennedy è alimentato da ciò che egli fece in materia di diritti civili, visto che fu il primo Presidente bianco ad aprire una stagione nuova, tentando di eliminare alla radice le ragioni che portavano i neri ad essere discriminati in vastissimi territori statunitensi, in particolare in quelli meridionali, dove la presenza capillare dei gruppi di estrema Destra faceva sì che gli indirizzi della politica assecondassero gli istinti più ferocemente pro-apartheid.
Non è un caso se Kennedy venne ucciso proprio nella città, Dallas, che è la capitale del Texas dove, tuttora, la battaglia per i diritti civili è in piedi, dato che è uno degli Stati in cui esiste, ancora, la pena di morte.
La mitizzazione della figura di Kennedy è, invero, dovuta anche ad elementi meno nobili, quale su tutti la vita privata; infatti, la relazione con la Monroe ha determinato una fama per lui e per il fratello Robert, che va ben oltre ogni merito, squisitamente, politico.
Esiste, però, uno squarcio del Kennedy Presidente della Repubblica, che andrebbe analizzato, per verificarne la grandezza: fino al 1962, infatti, egli fu fieramente anti-comunista, come tutti i suoi predecessori e coloro che, poi, ne presero il posto.
L’episodio della Baia dei Porci è, solamente, quello più famoso circa il suo attivismo contro i successi dell’ideologia comunista in terra americana: in quel caso, dalla Presidenza partì l’ordine di conquistare la parte meridionale dell’isola di Cuba, allo scopo di eliminare il pericolo costituito da Fidel Castro, che, nella regione caraibica, era invero il più grande alleato oltreoceano del Comunismo sovietico.
In quel frangente, si poté evitare il peggio, che poteva consistere finanche nello scoppio di un conflitto atomico, solo perché l’intervento di mediazione di Papa Giovanni XXIII impedì che si consumasse la reazione da parte dei Sovietici, che si vedevano attaccati in un loro interesse nevralgico.
Peraltro, è noto che – anche in virtù della sua origine irlandese e, dunque, cattolica – Kennedy proveniva da una famiglia, che aveva realizzato enormi ricchezze negli Stati Uniti roosveltiani degli anni Trenta: il padre, in particolare, molto cinicamente aveva accumulato fortune notevoli, dialogando con tutti quei soggetti, politici ed economici, che contavano nell’America, che stava per uscire dalla grande depressione del 1929.
Si sa bene che, per fare affari in quel contesto storico, dominato dal proibizionismo, non si poteva non costruire un ponte, finanche, con ambienti criminali, per cui i successi elettorali della famiglia Kennedy sono stati il frutto, anche, della malizia e del cinismo del pater familias, che, arrivato sul suolo americano da emigrante, seppe creare – nel corso di una sola generazione – le premesse affinché un figlio divenisse Presidente della Repubblica e l’altro stesse per divenirlo, se non gli fosse stato impedito dall’attentato, che lo eliminò dai giochi in piena campagna per il voto del novembre 1968, quando l’esito delle elezioni in suo favore appariva scontato.
Dalla disamina, quindi, emerge il volto di un Presidente, che forse riuscì a capire la macchina amministrativa, che guidava, solo quando fu troppo tardi: egli tentò di invertire la tendenza della politica americana, ma era inevitabile che poteri molto più forti di quello statuale lo ostacolassero e ne impedissero il radicamento ulteriore nella società del tempo.
Da quel momento in poi, sembra caduta sulla famiglia Kennedy una maledizione, per cui tutti coloro che possono rinverdire i fasti di John subiscono una fine atroce, come se un Destino malvagio si sia accanito contro i discendenti, tutti impossibilitati a tornare alla Casa Bianca per completare il lavoro iniziato negli anni Sessanta.
Altre dinastie nella storia americana – sia in quota repubblicana, che democratica – sono state protagoniste negli ultimi decenni: basti pensare ai Bush o ai Clinton, ma nessuna di queste ha lasciato il segno dei Kennedy, nonostante la fine tragica capitata in sorte a tutti i rampolli di quella famiglia.
Forse, il mito è più forte della storia?
Forse, i media scrivono la storia molto più efficacemente di quanto non possano fare gli uomini con le loro azioni concrete?
Forse, la grandezza di una personalità della politica – come della cultura o delle arti – si nasconde proprio nell’incompiuteza del suo agire mondano?
Rosario Pesce