Crollano gli elettori, disaffezione dalla politica o crisi della democrazia?

Si è chiuso il primo round delle elezioni amministrative ottobrine che per ora ha visto prevalere il centrosinistra in tre grandi città (Milano, Napoli e Bologna) ed il centrodestra nella Regione Calabria. Preoccupante il calo dei Cinquestelle, che riducono di molto il successo elettorale riscontrato cinque anni fa con la Appendino a Torino e con Virginia Raggi nella Capitale, e che non hanno risentito finora  favorevolmente dell’effetto dovuto all’investitura dell’ex premier Giuseppe Conte. Ma il dato più preoccupante è quello dell’astensionismo. Si è registrato un calo di presenze ai seggi del 7-8% rispetto alle ultime amministrative (47% contro 54%).

Dell’astensionismo ne ha risentito in termini di risultati soprattutto il centrodestra che ha registrato uno sfaldamento del blocco, apparso unito invece in precedenti occasioni. Salvini ha parzialmente ammesso la sconfitta riconoscendo di essersi mossi in ritardo  e coinvolgendo personaggi non di punta, mentre la Meloni, sempre abile a dribblare argomenti a lei sfavorevoli ha evidenziato il raggiunto primato del suo partito in alcuni collegi. Dai risultati emersi si scorge un calo di interesse per populismo e sovranismo ed un ritorno alle forze progressiste ed inclusive (vedi i successi di Lepore a Bologna e Manfredi a Napoli) mentre le diatribe interne dei Cinquestelle (il “chiarimento” di giugno con Grillo all’investitura di Conte) sono state pagate a duro prezzo (vedi il crollo di Roma e Torino ove appena cinque anni fa c’era stato un exploit).

Il decisionismo del premier Draghi ha fatto si che in sette mesi di governo si registrasse un aumento del 6% di Pil, che la campagna di vaccinazione procedesse a ritmo spedito, che si incassassero 25 miliardi di anticipo del recovery Fund e si avviasse il PNRR. Spesso Draghi è ricorso, anche per fronteggiare la pandemia, che ancora non ci ha ancora lasciati, a decreti legge, quasi tutti (il 95%) convertiti in legge nei termini. Ebbene lo si accusa di avervi fatto troppe volte ricorso: una ventina nei primi cinque mesi di governo; per fare un pò di statistica la media dei d.l. adottati da Draghi è di 4,20 decreti al mese, mentre il Conte II ne aveva emanati 3,25 e precedentemente Letta 2,75e conte I e Renzi 1,75; ma non si era in era Covid.

Già Conte trovatosi all’inizio dell’ondata pandemica aveva fatto più volte ricorso ai DPCM, cioè decreti emanati dal Presidente del Consiglio aventi carattere d’urgenza ed anch’egli era stato aspramente criticato, nonostante il nostro Paese, pur travolto per primo dalla pandemia e in modo massiccio, fosse stato un esempio seguito da altri Stati Europei. Ora il premier Draghi ha preferito i decreti legge ai DPCM in quanto i primi pur entrando in vigore subito vanno discussi dal Parlamento e convertiti in legge nei successivi sessanta giorni. Anche se spesso questo lasso di tempo non risulta sufficiente ad un esame approfondito le Camere hanno la possibilità di convertirle in legge o meno. Ma anche in questo caso si elevano critiche non solo dall’opposizione, ma spesso anche dai cosidetti alleati di governo che, assieme a giornalisti ed opinionisti creano un fuoco incrociato sull’esecutivo. Così si arriva a parlare di “crisi della democrazia”, delegittimazione del Parlamento e accentramento dei poteri.

A ciò si aggiunge il maggior ricorso ai referendum, dal momento che è stato ammessa la raccolta firme mediante lo Spid. La più facile adozione dell’istituto referendario, pur favorendo la partecipazione diretta del popolo denota anch’essa una sminuimento dell’organo legislativo per eccellenza, costituito dal Parlamento. Ma siamo sicuri che i politici siano immuni da colpe in tutto questo? Se certi rappresentanti dei partiti non trovano di meglio che far caciara nei talk show televisivi ed opporsi anche ai provvedimenti più scontati e di buon senso, questo atteggiamento porta l’elettorato a cambiare canale, cioè a nausearsi di assistere al litigio pretestuoso ed infruttuoso e quindi alla disaffezione dalla politica. Quindi prima di pronunciare sentenze del tenore da “crisi della democrazia”, io parlerei piuttosto di rifiuto di certa politica.

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