Cos’è successo al cinema italiano? Spesso ci dimentichiamo dell’importanza che il cinema nostrano ha avuto nella storia, del fatto che Torino un tempo ne era la capitale e che Hollywood arrancava dietro di noi. Sembrano superati registi come Fellini, De Sica, Petri, Germi e tanti altri.
Poi? Cos’è successo? Negli anni qualcuno sembra essersi ricordato della lezione dei grandi, penso a Tornatore, Salvatores, Sorrentino e qualcun altro, ma poi tanta dimenticanza. Un tempo eravamo talmente grandi che anche le commedie vincevano gli Oscar, è il caso de La ragazza con la pistola di Monicelli e di Divorzio all’italiana di Germi. Il termine stesso Commedia all’italiananacque per questo splendido film, magistralmente interpretato da Marcello Mastroianni ed indicava una particolare tendenza, tutta italiana, di fare commedia. Una commedia però mai superficiale, al massimo leggera.
Come direbbe Calvino “prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” ed è questo che ha reso così grande questo genere nel mondo. Oggi alcune cose che venivano fatte all’epoca probabilmente non verrebbero neanche capite, un po’ per un problema di società un po’ per colpa del pubblico, troppo impigrito dai social e dal suo malato meccanismo di distrazione. Facebook c’ha abituati male, una cosa s’è veloce e leggera la guardiamo, altrimenti scorriamo la bacheca, alla ricerca di qualcos’altro di meno impegnativo. Film come Amici miei oggi verrebbero stroncati dalla critica e mal digeriti dal pubblico che si crede aperto di mentalità, ma che alla prima crudeltà velata d’ironia del conte Mascetti urlerebbe allo scandalo.
E che dire della dolce poesia intrisa di malinconia di Massimo Troisi, del suo balbettare incerto, della sua impegnata comicità contro gli stereotipi della napoletanità in costante ed ostinato napoletano, ma anche delle sue storie tragicomiche, dei temi seri come quello della disabilità in Le vie del signore sono finite e della poesia ne Il postino, ma anche in generale dell’amore, sempre affrontato nelle pellicole di Troisi e mai in maniera banale. Tant’è che venne chiamato il Woody Allen italiano, ed effettivamente non se ne distaccava molto. Oggi, non verrebbe apprezzato, oggi il pubblico pretende le battute esplosive, va al cinema per non pensare. È impossibile fare una buona commedia senza pensare, senza un messaggio, senza niente. Ridere presuppone una riflessione, per quanto leggera, ma pur sempre una riflessione. Monicelli disse che le commedie sono finite quando i registi hanno smesso di prendere l’autobus, ed è vero. Perché i personaggi vengono dalla strada, si trovano per le vie di tutti i giorni. In C’eravamo tanto amati di Scola i tre protagonisti sono veri, sinceri, realistici, se ne incontrano a migliaia nella vita.
E chiunque abbia una storia da raccontare, in un modo o nell’altro, fa riflettere. Qualcosa di positivo c’è stato negli ultimi anni: Verdone, Nuti, Benigni, Pieraccioni, Albanese, Aldo, Giovanni e Giacomo. C’è mancato però comunque qualcosa, probabilmente quel retrogusto di poesia e talvolta di malinconia che caratterizzava le grandi commedie all’italiana degli anni ’60 e ’70.
Francesco Teselli