Dal Rapporto Svimez un quadro di recessione annunciata

Lo Svimez e’ un ente che analizza lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno e redige annualmente un rapporto statistico. Quest’anno il quadro della situazione e’ particolamente cupo in quanto ai dati non incoraggianti sul Pil, che non cresce, si aggiungono i guai sopraggiunti della chiusura dell’Ilva e dell’alluvione di Venezia, che incidono (eccome!) sui conti della Nazione. E se i danni della citta’ lagunare sono ancora provvisori, in quanto l’inondazione non si e’ ancora placata, quelle per la chiusura della fabbrica siderurgica si stimano, tra produzione diretta ed indotto, intorno ai 3,5 miliardi di cui l’ottanta per cento a carico del Sud.

Ma questi due gravi episodi sono solo gli ultimi, peraltro non tutti addebitabili alla classe politica attuale, in quanto il malessere ha origini lontane. Dagli anni novanta, quando in virtu’ di tangentopoli doveva esserci la svolta verso comportamenti virtuosi non solo dei politici, ma anche della gente comune, si e’ continuato ad esercitare malcostume in termini di corruttela e clientelismo. Si e’ verificato che le partecipazioni pubbliche sono state dismesse solo per fare cassa, neanche tanto proficuamente, dato che hanno lasciato sul campo centinaia di infrastrutture nel degrado e nell’abbandono.

Da quell’epoca e’ mancata un’adeguata formazione imprenditoriale che potesse continuare i primati italiani conseguiti nel campo della tecnologia, della meccanica, dell’aeronautica e della moda, che ci assicuravano significativi risultati nell’innovazione e grandi numeri nelle esportazioni. Risultati che ci hanno portato ad essere la settima potenza industriale nel mondo e seconda in Europa; dagli anni novanta in poi l’Italia e’ divenuto un Paese in decrescita, non piu’ attivo, con l’handicap di vare un tasso di sprechi e corruzione elevato e senza la coscienza di doversi rimboccare le maniche, in quanto con la concorrenza aumentata i risultati e’ difficile conquistarli, ma piu’ ancora confermarli. E l’attuale quadro recessivo e’ anche colpa del mancato sfruttamento dei finanziamenti europei, che negli anni scorsi sono arrivati a pioggia, un po’ in tutti i settori, ma che non sono stati tesaurizzati in attivita’ produttive, e che hanno creato le classiche cattedrali nel deserto, che col passare del tempo deperiscono nell’incuria.

Dal rapporto Svimez risulta del 74% delle opere pubbliche bloccate, di cirisi aziendali raddoppiate e di un tasso di disoccupazione superiore al 10% , dati che fanno si che l’Italia preceda solo Spagna e Grecia. Il resto lo hanno fatto le gestioni politiche che si sono succedute, con responsabilta’ bipartisan, dai partiti di destra a quelli di sinistra, ma anche dei moderati di centro che all’epoca del pentapartito esercitavano la loro influenza. Anche aver rischiato il baratro nel 2011, con le sorti della Nazione ripresa per i capelli dalla “cura da cavallo” del governo tecnico Monti, e’ cambiato poco nelle gestioni amministrative sia locali che nazionali: nessuno e’ rimasto “folgorato sulla via di Damasco” e la spirale virtuosa non e’ mai iniziata.

Una lieve inversione di tendenza c’e’ stata a partire dal 2014 con una ripresa del Pil ma in mancanza di adeguate riforme strutturali e senza un deciso taglio di privilegi e sacche parassitarie, in quanto nessuna frangia politica se l’e’ sentita di fare manovre impopolari, il sistema ha continuato a vivacchiare ed i progressi si sono limitati ai decimali.
Con l’avvento della Seconda Repubblica e l’alternarsi di centrodestra e centrosinistra, le due fazioni politiche hanno badato piu’a criticarsi a vicenda stando all’opposizione che a ben operare quando erano al comando. Ma il periodo politico piu’ critico lo stiamo vivendo proprio ora che, dopo l’exploit dei Cinquestelle, che ha portato una speranza di cambiamento, ora in flessione, c’e’ l’avvento imperante dei sovranisti che con percentuali importanti, stando ai sondaggi, potrebbero vincere le prossime elezioni. Questo fenomeno certamente non da’ stabilita’ ad un Paese che a mio avviso non puo’ prescindere dall’Unione Europea, ne’ dal patto Nordatlantico ed avrebbe bisogno di una rinnovata fiducia dei mercati, con un debito pubblico che non riesce a diminuire neanche di pochi euro, anzi… A meno che le emergenti forze di destra non vogliano portarci a stringere patti “oltre cortina”, ma a questo punto il futuro dell’Italia diventerebbe davvero un’avventura…

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