Darwin ai tempi di Facebook: una generazione di ‘Mi Piace’ e ‘Consensi’

Pare sia vero. Valeria Fedeli, il ministro, in questi ultimi giorni si è aperta in favore dell’utilizzo dello smartphone in classe. Ovviamente, polemiche. In aperta contrapposizione a quanto disse l’ex ministro Fioroni che si schierò decisamente contro la presenza dei cellulari a scuola, “elementi di distrazione e non di crescita”, la cara Valeri invece addirittura parla di “strumenti didattici”. Il punto è sempre lo stesso e, tanto per essere un po’ banali, la verità, forse, sta nel mezzo.

Nel senso che niente è incontrovertibilmente giusto o sbagliato a priori. Certo, assassinare qualcuno è sicuramente sbagliato, capiamoci. Su molte cose però l’ago della bilancia spesso oscilla. Non è lo smartphone in sé ad essere sbagliato, ma il modo in cui viene utilizzato e questo dipende sempre dall’uomo e io negli anni ho maturato questa cosa, tendo a fidarmi poco dell’uomo.

Il paradosso più grande però è che l’essere umano è intelligente e anche tanto. Se non lo fosse, come potrebbe mai aver inventato un congegno tanto incredibile come lo smartphone? Studia, l’essere umano, ma non si applica, come dicevano a me a scuola. Il problema, come sempre, sorge quando si tratta di affrontare una cosa del genere, singolarmente. Consentire a una scuola intera di tenere il cellulare in classe sarebbe giusto se avessimo la certezza che tutti, e dico tutti, lo utilizzino allo stesso modo, e cioè in maniera “didattica”, per moltiplicare le domande e non per rubarne le risposte.

E già, perché è bello avere il mondo in tasca o nel borsello vicino alle matite, ma se questo va a discapito della scoperta del mondo stesso o addirittura diventa carburante per la nostra pigrizia e allora no, non va bene più. Come essere sicuri di una cosa del genere? Ci vorrebbe un addetto al “controllo” vicino a ogni studente per monitorarne l’utilizzo. Il problema è sempre l’uomo. Come per Facebook. Questo grande avvenimento che ha così radicalmente cambiato le nostre vite, non sarebbe una cattiva cosa, anzi.

Innanzitutto ha tanti buoni potenziali utilizzi: cercapersone, pubblicità. Dal punto di vista del marketing, ad esempio, ormai è veramente imprescindibile. Non esiste marchio, azienda o quant’altro che non faccia affidamento ad una pagina Facebook. Gli aspetti negativi si riscontrano nella vita quotidiana. Non c’è niente di male se il grande o il piccolo imprenditore sponsorizza il proprio prodotto che sia un capo d’abbigliamento, un libro, un ristorante o chissà cosa; il problema sorge quando tutti si sentono in diritto di dover esprimere il proprio parere su tutto. Io su molte cose sto zitto. Non mi sognerei mai di dire la mia sul dibattito circa la teoria delle stringhe, semplicemente perché non è il mio campo e quindi perché sulla fisica teorica una “mia” non ce l’ho proprio.

Insomma, inutile che mi dilunghi su quest’argomento, non aggiungerei niente di più alle “legioni di imbecilli” arruolate dai social di cui parla Eco. La cosa curiosa però è che queste generazioni, di cui faccio parte, stanno vedendo vere e proprie nuove categorie antropologiche che dieci anni fa non esistevano proprio.

Negli ultimi tempi, ad esempio, mi sono ritrovato inconsapevolmente a studiare un fenomeno del tutto particolare che ha suscitato la mia attenzione: il Mi Piace. Questa creatura mutaforme cambia a seconda degli scopi per cui viene utilizzata. Esistono diverse tipologie di Mi Piace:

– c’è il Mi Piace Tattico, quello che il salamone di turno piazza lì all’improvviso, sotto una foto profilo se vuole essere spudorato o sotto una canzone o una poesia per un approccio più intellettuale. Lo fa per un po’ finché non capisce di essere beatamente ignorato e passa ad altro.

Esiste addirittura un’evoluzione di quest’esemplare, e cioè il Mi piace Tattico Studiato, vale a dire quello calcolato, astruso, complesso, quello che va a pescare il commento al commento sotto la foto del 15/18 che Pappagone al confronto è un infante. Ci sono anche quelli che credono di mandarti segnali occulti facendo cose che neanche la CIA arriverebbe a concepire, tipo escludere tutti gli amici tranne te in modo che leggi solo tu e prima o poi te ne accorgi e allora Don Giovanni comincia a scriverti cose sempre più mirate nella speranza di portarti prima o poi alla chat. Insomma, gente che non ha molto da fare in genere;

– poi c’è il Mi Piace Random, quello che gli hai dato il palo, ma lui ci crede, è tenace, non si dà per vinto e allora “gli piace”. Prima o poi capirà che a lui può piacere quanto vuole, il problema è che è lui a non piacere. Povero;

– e infine, la razza più diffusa in assoluto, dai paesi caldi ai paesi freddi, da quelli tiepidi a quelli freschi, dall’ombelico del mondo fin giù alle caviglie dell’Oceania e risalendo per le ginocchia delle Ande per approdare di nuovo in capo a tutto, al Polo Nord: il Mi Piace Patetico. Il Dianthus Miserabilis (Patetico Comune) è un esemplare molto diffuso ed estremamente coriaceo.

Il suo comportamento tipico è oggetto di studi delle più prestigiose università americane ed europee, ma come tutti i misteri che si rispettino, nessuno è ancora riuscito a capirlo del tutto: viene ripetutamente rifiutato, con le buone, con le cattive, in maniera sensibile, di netto, affrontando discorsi, evitando risposte ma lui niente, il Mi Piace continua a metterlo. Studiosi riferiscono che c’è poco da fare, inutile continuare ad esibirsi in mirabolanti teorie evoluzionistiche, solo il tempo li farà desistere. Non per dignità, sia chiaro; forse solo per rassegnazione.

a cura di Francesco Teselli