La politica non finisce mai di riservare sorprese: infatti, ventiquattro ore prima della chiusura delle liste per le prossime elezioni regionali, in Campania si è verificato il classico colpo di scena, che ha modificato il quadro preesistente.
Ciriaco De Mita, potente esponente ex-democristiano dell’Irpinia, un tempo feudo del partito dello Scudo Crociato, ha firmato un accordo con De Luca, per cui la sua formazione, l’Udc, che fino a poche ore prima era data in alleanza con Caldoro, ha fatto il cosiddetto salto della quaglia, venendosi a trovare in regime di collaborazione con il candidato del PD.
La notizia sorprende e non poco, visto che De Mita, per cinque anni, è stato alleato del Presidente uscente, Stefano Caldoro, con soddisfazione di entrambe le parti, per cui nessuno ipotizzava che si potesse verificare la novità, che invece ha, davvero, colpito tutti gli osservatori, oltreché la pubblica opinione. In tal caso, il fatto sorprendente non è, neanche, costituito dal rapidissimo ed inatteso cambio della scena politica, ma dall’inimicizia, che, per lunghi anni, ha caratterizzato i rapporti fra il leader irpino ed il Sindaco di Salerno, il quale, in occasione di una trasmissione televisiva, apostrofò con parole fortissime il suo attuale alleato, dichiarando senza mezzi termini – com’è nel suo costume – che il principale tumore della Campania, negli ultimi quattro decenni, era stato rappresentato, appunto, dall’ex-Segretario Nazionale della DC ed ex-Premier.
Le parole, però, sono destinate ad essere transeunti, per cui non ci può amareggiare più di tanto il fatto che due esponenti di primissimo piano della scena istituzionale campana abbiano contratto un patto elettorale, nonostante i precedenti dialettici poco edificanti. Ci sorprende, però, un altro dato, che ci appare significativo: la reazione della pubblica opinione, che è sembrata quasi tradita dalla decisione di De Luca di far salire sul suo carro, diretto a Santa Lucia, finanche chi rappresenta, da mezzo secolo, la continuità di gestione della cosa pubblica in Campania, sia nel bene che nel male, che gli possono addebitare i suoi – pur numerosi – detrattori.
Infatti, De Luca ha vinto le primarie del PD contro Cozzolino, in quanto, in questi anni di amministrazione a Salerno, ha incarnato un virtuoso modello di gestione, assai diverso – almeno, a parole – da quello messo in essere dallo stesso De Mita, da Bassolino e da tutta la classe dirigente campana di Centro-Sinistra, che ha retto le sorti della Regione ininterrottamente dagli anni ’70, cioè da quando nacque l’Ente, che, salvo nelle brevi stagioni di Rastrelli e di Caldoro, è sempre stato amministrato da un patto di ferro fra i Comunisti napoletani ed i Democristiani irpini, salernitani e beneventani.
La pubblica opinione, a quanto pare, non ha gradito la mossa deluchiana, che evidentemente può essere inficiata di trasformismo, visto che il consenso demitiano è, comunque, ancora notevole nei suoi territori di elezione e può fare la differenza sull’intero panorama regionale. Ma, in politica la somma non fa il totale, per cui, in sede di lettura di un accordo così ardimentoso, si deve valutare il valore aggiunto che De Mita porta, certamente, a De Luca, ma anche il minusvalore, che ineluttabilmente comporta una scelta tanto coraggiosa, che fa perdere al Sindaco di Salerno il target del rottamatore e che lo parifica – in tutto e per tutto – al suo predecessore, Antonio Bassolino, che, per governare la Regione, fu costretto a scendere a compromesso con lo stesso De Mita, oltreché con il potente esponente beneventano, Clemente Mastella, che invece, in questa circostanza, è rimasto fedele a Caldoro.
Certo è che il Governatore uscente non gode di un consenso d’immagine tanto vasto come quello deluchiano, ma la decisione, maturata nella notte precedente alla presentazione delle liste, rischia per davvero di sconvolgere un assetto politico, altrimenti, consolidato. Nel Paese – e, quindi, non solo in Campania – tira un venticello di forte avversione verso il ceto politico, a cui viene addebitata la responsabilità del fallimento del quadro istituzionale ed economico odierno, per cui la creazione di un cartello elettorale, che mette insieme due personalità, invero, non di primo pelo delle istituzioni italiane, rischia di determinare una reazione, i cui effetti sono imprevedibili, visto che, peraltro, sia a Sinistra, che a Destra la stipula dell’accordo De Mita-De Luca ha fatto saltare equilibri, che apparivano consolidati.
I sondaggi, finora fatti, dicono poco o niente dell’andamento futuro del voto: si pronuncia solo la metà degli intervistati, per cui, qualunque sia l’esito delle ricerche demoscopiche, questo appare inverosimile, perché non si può ipotizzare che, ad un turno elettorale così sentito, si rechi a votare appena il 50% degli aventi diritto. Pertanto, volendo ipotizzare scenari, tutti da verificare concretamente, possiamo finanche immaginare che gran parte di quella metà, che non si è pronunciata finora, stia meditando di esprimere un voto fuori dai canoni tradizionali, per dir così un voto “anti-sistema”. In tal senso, il patto fra due notabili longevi della politica campana non può che dare, ulteriormente, la stura ad una reazione di popolo, che sarebbe sorprendente, ma non inattesa. Infatti, le classi dirigenti italiane hanno una visione, a volte, distorta della mentalità del cittadino meridionale, per cui credono che egli, ereditando la vecchia logica feudale, sia sempre e, comunque, filogovernativo.
Invece, questo tratto, che pure è dominante, si accompagna ad un’altra caratteristica, quella della jacquerie, cioè dello spirito rivoluzionario contadino e populista, che di tanto in tanto riaffiora, salvo poi essere normalizzato da chi ha interesse alla conservazione sociale. Non dimentichiamoci che Napoli ha generato Masaniello, così come è stata l’unica città italiana a liberarsi dalla presenza dei Nazifascisti senza far ricorso all’aiuto degli Alleati, contando unicamente sulle proprie risorse, per cui – a volte – talune dinamiche possono ripetersi.
De Luca aveva puntato, come abbiamo detto, ad apparire il novello rivoluzionario della politica campana: l’alleanza con De Mita, facendo cadere questa costruzione mediatica efficace, fa sì che altri esponenti politici o altre forze possano occupare lo spazio, che egli ha lasciato libero, pensando che la conquista del consenso degli elettori dell’Udc fosse la chiave di volta dell’elezione di fine maggio. Noi crediamo che egli – sia pure in buona fede – abbia commesso un errore strategico rilevante, se non decisivo, accettando il consenso di uno spezzone (quanto consistente?) degli apparati di classe dirigente campana e, dunque, perdendo il voto popolare, che rifiuta a-priori partiti e personalità del passato, sia recente che più remoto.
Chi ne trarrà giovamento, allora? La Sinistra di Sel, che punta a fare propria la preferenza degli scontenti del PD?
Grillo, che intende vincere in Campania, dopoché ha fatto il pieno di voti in Sicilia, per cui, alla maniera di Garibaldi, la sua conquista vittoriosa dell’Italia partirebbe dal Sud povero ed arretrato? O lo stesso Caldoro, che, a questo punto, anche per ragioni meramente anagrafiche, invero appare molto più giovane ed al passo con i tempi di De Luca e di De Mita?
Assisteremo allo sviluppo di tali vicende nelle prossime settimane, ben coscienti che, in Campania, in questa partita per la Regione, c’è in gioco un pezzo importante della futura Italia.