Sociale, l’intervento del giudice nei casi di maltrattamento e di abuso

Quale livello penale quale civile

Servizio Sociale – L’intervento del giudice nei casi di maltrattamento e di abuso: il livello penale e quello civile.

I casi di violenza intrafamiliare e abuso sono un fenomeno da tempo  in aumento che hanno visto una ampia protezione nel nostro sistema giudiziario. Perciò, oltre al sistema di protezione sociale, quando si parla di abuso all’infanzia occorre considerare anche il ruolo del giudice.

Il sistema giudiziario nei casi di abusi sui minori

Il sistema giudiziario di solito si occupa dell’abuso sul bambino quando esso è già avvenuto. In questo caso l’intervento ha principalmente uno scopo repressivo, e cioè quello di individuare il colpevole del reato e di punirlo. Ma l’intervento del giudice può anche avvenire in presenza di una situazione di pericolo o di rischio, quando un reato non è stato ancora commesso. In questo caso esso ha un carattere di intervento preventivo. Nel primo caso la competenza è del giudice penale; nel secondo caso invece la competenza è del giudice minorile.

Al giudice minorile fanno riferimento i centri specializzati nella diagnosi e cura del bambino maltrattato. Molto spesso però la situazione di rischio di cui si occupa il giudice minorile dura da parecchio tempo, e può essere essa stessa un reato. Vi sono allora problemi di coordinamento fra giudice minorile e giudice penale, e, come è facile rilevare, non sempre gli obiettivi coincidono. Vediamo quindi di esaminare separatamente i due “interventi”.

L’intervento a livello del sistema penale

I termini “violenza all’infanzia”, “abuso all’infanzia”, non hanno in diritto penale un significato giuridico loro proprio. Non si tratta cioè di termini legali utilizzati dal codice penale. In effetti, il codice penale attuale è stato promulgato negli Anni ’30, e quindi non è più adeguato al fenomeno dell’abuso all’infanzia come oggi si presenta. Nel codice penale numerosi reati riguardano indirettamente l’abuso all’infanzia (omicidio, lesioni volontarie, violenza sessuale, ecc.).

Più direttamente invece l‘abuso è considerato da tre reati per così dire “minori”, e cioè puniti meno gravemente. Si tratta del reato di maltrattamenti (art. 572 C.P.); del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 C.P.); del reato di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 C.P.). Tutti questi reati sono collocati in quella parte del Codice penale che riguarda i delitti contro l’assistenza familiare, e cioè quei comportamenti contrari al dovere di assistenza e aiuto verso i membri più deboli della famiglia.

Il reato di maltrattamenti consiste nel fatto di maltrattare una persona della famiglia o un minore degli anni quattordici o una persona affidata per ragioni di educazione o istruzione. Non è quindi specifico per l’abuso all’infanzia.

Con il termine “maltrattare” la legge intende un comportamento prolungato nel tempo, che determina un regime di sopraffazione provocando alla vittima una profonda sofferenza morale. Singoli comportamenti (ad esempio parole offensive, percosse, lesioni) non costituiscono il delitto di maltrattamenti, ma sono puniti dalle norme generali.

Il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare punisce chi non provvede agli obblighi di mantenimento verso i figli minori ed il coniuge. Anch’esso dunque non è specifico per l’abuso all’infanzia, ed è punito con una pena molto lieve.

Infine, il reato di abuso dei mezzi di correzione riguarda il comportamento di chi eccede nelle punizioni date al figlio o all’allievo e cagiona con il suo eccesso il pericolo di una malattia. Si tratta di un reato di cui tutti chiedono l’abolizione, perché indirettamente permette le punizioni corporali e la violenza “a scopo educativo”.

Anche gli altri reati sono oggetto di forti critiche, e da alcuni anni sono numerosi i progetti di legge diretti a migliorare la tutela penale dei minori abusati. Va sottolineato che di recente, con l’approvazione della legge 15.2.96 n. 66 che detta norme contro la violenza sessuale, sono state introdotte importanti modifiche relativamente a questo tipo di abuso all’infanzia. È tuttavia troppo presto per poter valutare i primi effetti delle nuove norme, che comunque non sono state emanate espressamente per i minori.

 L’intervento a livello civile

La competenza civile del Tribunale per i minorenni costituisce il perno del sistema di protezione giudiziaria dell’infanzia. Gli interventi in caso di abuso si attuano principalmente attraverso limitazioni alla potestà dei genitori; prescrizioni di comportamento; affidamento del bambino a parenti;

affidamento al servizio sociale; affidamento familiare. Nei casi più gravi il Tribunale può dichiarare il bambino in stato di abbandono e affidarlo in adozione a un’altra famiglia. L’adozione è in questo caso irrevocabile. Queste competenze sono state attribuite al Tribunale da leggi successive.

Legge adozione e affidamento

La più recente è la legge 4.5.1983 n.184 sull’adozione e l’affidamento. Questa legge stabilisce che “il minore ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art.1). Quando il minore è privo di un ambiente familiare idoneo, può essere collocato in affidamento familiare (art.2). L’affidamento familiare è disposto dai servizi dell’ente locale (Comune), e deve avvenire col consenso dei genitori.

I rapporti fra il minore ed i suoi genitori devono essere facilitati, e deve essere favorito il reinserimento nella famiglia di origine. Può accadere che i genitori rifiutino di accettare l’affidamento familiare del figlio. In questo caso il Tribunale per i minorenni può autorizzare ugualmente l’affidamento.

In effetti, nei casi di abuso all’infanzia non è frequente che i genitori accettino l’affidamento familiare. Essi anzi tendono a rifiutare l’intervento dei Servizi non appena si comincia a parlare di affidamento. È questa una situazione in cui molto spesso i Servizi chiedono l’intervento del Tribunale, perché l’affidamento sia ordinato contro la volontà dei genitori. Si tratta dei casi nei quali la prognosi di cura per la famiglia maltrattante è stata negativa e non si vede altra soluzione per il minore.

Molto diverso dall’affidamento familiare è l’affidamento a scopo di adozione dei minori in abbandono. Questo affidamento può avvenire solo per i minori che il Tribunale per i minorenni ha dichiarato in situazione di abbandono, e prelude all’adozione legittimante, che ha luogo dopo un anno ed è irrevocabile.

Anche questo intervento è disciplinato dalla legge n. 184/1983. Un minore è considerato in situazione di abbandono quando è “privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio”. È importante notare che “non sussiste causa di forza maggiore quando i genitori o parenti rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi locali, e il rifiuto viene ritenuto ingiustificato dal giudice” (art.8).

Questa nozione di abbandono fa pensare a un genitore dal comportamento passivo, quasi che, tra le possibili forme di abuso all’infanzia, solo la negligenza e la trascuratezza possano costituire causa di affidamento in vista di adozione. In realtà, può essere considerato in stato di abbandono anche un minore che vive in casa dei genitori.

Dice infatti un’importante sentenza che “la situazione di abbandono da parte di un genitore non postula necessariamente l’assenza del genitore stesso, ma è configurabile anche quando egli sia presente ma lasci il figlio privo della indispensabile assistenza morale e materiale, e quindi a maggior ragione quando egli costituisca un pericolo per la sua integrità fisica e psichica” (Cass., 1986, n.7427).

Anche la violenza fisica, quella psicologica e quella sessuale possono dunque, nei casi più gravi, portare alla dichiarazione di stato di abbandono e all’adozione. Molto spesso i Tribunali per i minorenni per tutelare il minore ma nel contempo aiutare i genitori a realizzare migliori relazioni familiari assoggettano il genitore a prescrizioni di comportamento, come ad esempio quella di accettare l’intervento dei Servizi e il loro controllo sulla situazione del minore. È questo, come avevamo visto, il caso della terapia coatta.

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